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Le geometrie di Socrates tra calcio e politica

Le figurine di TMB, personaggi protagonisti del pallone: Socrates / 1

“Giocavo a calcio, ma stavo anche per diventare medico. Se non avessi studiato Medicina sarei stato un giocatore più limitato”. Alla fine dottore lo è stato solo sulla carta, mentre il pallone lo ha trattato seriamente diventando uno dei centrocampisti più forti di tutti i tempi. Parliamo di Socrates, uno che giocava al calcio con una laurea in Medicina in tasca e sfoggiava magliette con scritto “democracia” mentre il suo Brasile era sotto le regole di una dittatura militare.
Nato ad un centinaio di chilometri dalle onde dell’Oceano Atlantico nel 1954, Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira come la stragrande maggioranza dei brasiliani comincia fin da piccolissimo a giocare a pallone. Rispetto alla media però non abbandona gli studi e anzi arriva a laurearsi in Medicina e per questo verrà spesso chiamato doutour. Ma il soprannome non è solo un eco della sua brillante carriera universitaria. “Da me si aspettavano che fossi il più ingegnoso di tutti”, diceva. Il talento per il calcio è visibile fin da subito, tanto che la carriera da medico non l’ha mai lontanamente affrontata. Il campo, e in special modo quella zona cruciale che è il centrocampo, sarà il suo mondo. Tecnicamente molto dotato, Socrates esordisce da professionista nel 1974 nel Botafogo collezionando 57 presenze e diventando fin da subito titolarissimo. Nel 1978 la svolta: passa al Corinthians. Le sue geometrie che accendono il gioco sono il sale del suo calcio, e il bene per i suoi compagni. I pochi detrattori che ha, ma questi li troverà solo in Europa, lo accusano di essere lento. Paolo Rossi dirà: “Socrates era in effetti un falso lento: era un giocatore di non grande dinamismo, ma dal piede eccelso e soprattutto di grandissima intelligenza di gioco”. Dribbling e senso tattico fuori dal comune rendevano unico il doutour. Socrates era uomo di pensiero, e non solo riguardo alle geometrie di calcio. Pugno chiuso al cielo dopo i gol e amante di personaggi di lotta come Ernesto Che Guevara, Socrates fu attivo protagonista quando in Brasile si istaurò al potere un regime di tipo militare. Nel 1964 un colpo di Stato rovesciò l’andamento democratico del Paese e ad inizio anni Ottanta dopo svariati governi militari duri e repressivi che avevano limitato la libertà del popolo brasiliano, la situazione sociale era tesissima. Socrates nel 1982 era il leader in campo e fuori del Corinthians e quell’anno festeggiò insieme ai compagni la vittoria del campionato, un trionfo però non solo sportivo. Tutta la squadra per festeggiare infatti indossò delle magliette con la scritta “democracia”. Ma quello fu un gesto non solo simbolico. Fin dal suo arrivo nel 1978, Socrates e altri suoi compagni rivoluzionarono letteralmente i metodi di lavoro e l’ambiente del club. “Al Corinthians abbiamo cominciato a parlare di un modo diverso di vivere la realtà professionale del calcio”, spiegava in un’intervista a Repubblica. “In Brasile ai calciatori si imponeva un unico modo di lavorare, era un mondo oppressivo. Dentro il Corinthians abbiamo trovato gli spazi per non parlare solo di doveri del calciatore, ma anche di diritti. Praticamente quello che ognuno di noi giocatori, tecnici e dirigenti del club pensava, veniva discusso da tutti, e alla fine si votava e la maggioranza decideva. Per esempio l’allenatore decideva le ore di allenamento, ma eravamo noi giocatori a organizzare l’orario e decidere la sede degli allenamenti. Anche con i premi partita, a decidere non era solo il tecnico. Il premio veniva ripartito equamente tra tutti, titolari e riserve”. Quest’autentica rivoluzione passerà alla storia come “democracia corinthiana”, portando ai due scudetti consecutivi nel 1982 e nel 1983. In una società poi oppressa e priva di democrazia civile per il suo popolo, il Corinthians di Socrates con la sua “democracia” fu qualcosa di straordinario. Nel 1984, ormai consacrato e dopo un mondiale da capitano della nazionale nel 1982, arriva per lui il calcio europeo. In estate si presenta ai tifosi della Fiorentina, ed è un tripudio di entusiasmo. Le cose però non vanno per il verso giusto, e il motivo principale sembrò essere il troppo stress e i carichi di lavoro del calcio italiano. “Il calcio e’ uno sport collettivo e non serve che tutti corrano. Ci sono quelli che corrono e quelli che pensano”. Lui era della seconda categoria, ma in Italia non funzionava. Aneddoti e leggende (“fumava un pacchetto di sigarette a sera”) chiusero anzitempo l’esperienza italiana di Socrates, che a fine anno tornò in Brasile. Giocando al Santos riconquista la Nazionale e ai mondiali del 1986 uscirà ai quarti di finale contro la Francia di Platini (sbagliando uno dei rigori decisivi). Muore nel 2011 a 57 anni dopo svariati problemi legati all’alcolismo. Dino Zoff, beffato da una sua rete ai mondiali del 1982 nella storica sfida vinta dall’Italia 3-2, ha ricordato quel gol così: “non era facile metterla lì. Dentro quella giocata c’era dell’arte”. (Alberto Lucchini)


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