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A TMB Mario Adinolfi, uno juventino a Roma e tante altre cose…


A TuttoMoltoBello i personaggi come lui piacciono molto. Schietto, mai banale, spesso controcorrente, sfrontato e senza timore. Mario Adinolfi, generazione quarantenni senza paura, è tante cose: giornalista, deputato, pokerista, romano e… juventino doc. Tra blogger ci si intende con un click: in pochi minuti e un paio di messaggi su Facebook inizia una bella chiacchierata che parte inevitabilmente dal 10 maggio 1981, gol annullato a Maurizio Turone.


– Da Turone in poi, Roma-Juve più che una partita di calcio sembra essere un binomio antinomico. Come si fa a essere juventino e romano de roma?

“Mica semplice – racconta Adinolfi a TMB – pensa che io sono romano di Testaccio, il santuario romanista, il primo stadio, Campo Testaccio, dove giocava la Roma. Essere Juventino qui è una palestra che forma il carattere. Forse perché sono mezzo australiano ho sempre provato un fastidio fisico per i campanilismi e pur sentendomi profondamente romano non ho mai amato il romanismo esasperato. Roma per me è sinonimo di universalità e il nome latino Juventus mi ha affascinato da subito. Certo è faticoso tifare Juve a Roma, qui c’è un lato goliardico particolarissimo: qualcuno mi sfotte dandomi del cripto-romanista, in realtà sono semplicemente un grande appassionato dei colori bianconeri. Amo il dna della Juve che emerge dalle parole di Boniperti: alla Juve vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. La vittoria è quel che rimane al di là di ogni chiacchiera”.

– 22 maggio 1996: una data importante, suppongo…

“Uno dei momenti più belli per me, avevo 25 anni, ero all’Olimpico quella sera ed ero al settimo cielo – prosegue Adinolfi ricordando la finale di Champions vinta dalla Juve sull’Ajax proprio a Roma -. La Juve ha vinto all’Olimpico dove la Roma non ci era riuscita con il Liverpool e l’emozione più grande furono i giocatori che festeggiavano con la coppa in mano sotto una curva sud tutta bianconera…”.

– Ma Turone non si riesce proprio a superare?

“In effetti risale a trent’anni fa ma è un gioco che si rinnova. Dopo Turone c’è stato Aldair, nel ’94, secondo i romanisti spinto dal guardialinee su una rimessa laterale che aveva portato al gol Ravanelli. Pensa che quel giorno io ero andato a Torino su un treno speciale di ultras giallorossi, infiltrato con la mia sciarpa bianconera nello zaino: che esperienza. Fui premiato da una grande vittoria con le solite polemiche, ma così è ancora più bello”.

– Turone, Aldair e, ovviamente, Zeman: un male o un bene per il calcio?

“Secondo me Zeman non ha fatto male al calcio. E’ un provocatore e ha capito che il giochetto funziona, ma non va controcorrente. Non credo insomma che da Zeman si sviluppi un’etica, è solo un ottimo insegnante di calcio e una buona persona. Non so se siamo davanti a un grande allenatore di vertice e la battuta di Agnelli su Carrera che in una partita ha vinto più di lui è azzeccatissima. Poi ovviamente nel dna romanista c’è sempre il sistema che frega la Roma e Zeman rappresenta bene tutto questo, lo mitizza. A me non piace il mito costruito sul vittimismo”.

– C’è anche Totti che ha speso belle parole per Del Piero…

“Beh – continua Adinolfi – io sono mezzo australiano di Sidney e vedere il mio capitano giocare con il numero 10 proprio a Sidney mi gratifica particolarmente. A Totti faccio gli auguri per i 37 anni appena compiuti, è un grande campione a cui rimprovero solo quel famoso gesto delle quattro dita, tra l’altro restituito l’anno scorso da Lichtsteiner. Allo Juventus Stadium i due si ritroveranno e spero che sia un duello leale senza episodi spiacevoli”.

– Se Zeman è un mito giallorosso, Moggi è ancora mito per tanti bianconeri. Cos’è Moggi per la Juve?

“La Juve è Boniperti, Agnelli, Sivori, Platini, Del Piero: la Juve non è Moggi. Se parliamo di Calciopoli, invece, Moggi è stato un pretesto per avviare meccanismi inverosimili. Si parlava della Juve come il male contrapposto a tutte le altre vittime, Inter su tutte che ne ha beneficiato alla grande: più passa il tempo più sto racconto cade. E’ incredibile che qualcuno possa negare che la Juve di quei due anni fosse la squadra nettamente più forte”.

– Non è un momento semplice per l’Italia e per l’Europa. Mentre in Spagna la gente scende in piazza, qualcuno qui ironizza sui soliti italiani che sanno pensare solo al calcio. Ma cos’è il calcio per noi?

“Il calcio è il più grande romanzo popolare, una narrazione che coinvolge tutti. Alcuni a volte mi rimproverano un eccessivo trasporto nella passione calcistica ma a me piace il flusso di emozioni di questo romanzo popolare. Non mi sento superiore e lontano da quello che alcuni chiamano popolino e non amo lo snobbismo. Chi non segue il calcio in Italia è lontano dagli umori, da quelle percezioni di gioia e dolore certamente effimere ma indicative. Il lunedì mattina al bar la chiacchiera con il vicino di tavolo sconosciuto parte sempre dal calcio, poi magari si passa a cose più serie. Il calcio ha quindi una funzione democratizzante fortissima: allo stadio, per esempio, l’imperatore e l’ultimo dei servi sono uguali, nessuna differenza. Io sono contento se i cittadini italiani riempiono gli stadi, come avverrà per Juve-Roma: non dimenticheranno la crisi, l’inflazione al 4,7% e tutti i problemi ma si divertiranno. Ci sono tanti strumenti per dire e crescere, non c’è necessariamente il forcone come a volte sembra emergere, per esempio dall’ultimo Crozza. In Italia c’è un movimento contestativo che si attesta al 18%, alle primarie del Pd parteciperanno 4 milioni di persone, ci si può impegnare personalmente, ci sono strumenti democratici che ci mettono davanti alla Spagna. Come l’occupazione di Wall Street che fa rumore e poi magari vota il 40%, mentre qui voterà il 70-80% degli italiani. Non dimentichiamo questa nostra voglia di partecipare, più forte di proteste estemporanee. Una partecipazione che parte anche dal bar, dove con il cappuccino si parla di calcio e politica”. (Marco Vailati)



Mauro Suma… ai microfoni di TMB!
27 aprile 2012, 10:21 am
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“…per Nocerino, Prince, attento Prince! Palla dietro, Prince ha segnato anche all’andata con il Genoa…HA PAREGGIATO IL CESENA! HA PAREGGIATO IL CESENA! HA PAREGGIATO IL CESENA! RAGAZZI, HA PAREGGIATO IL CESENA! VAI, MARIO BERETTA IO TI AMO! MARIO BERETTA IO TI AMO! GUARDO IL CIELO DI SAN SIRO E TI AMO! VAI MARIO! VAI MARIO PAREGGIO MARIO! VAI PAREGGIO MARIO! MUNTARI! GIOCHIAMO LA PARTITA RAGAZZI! GIOCHIAMOLA RAGAZZI! GIOCHIAMOLA RAGAZZI! GIOCHIAMOLA! NOCERINO! (incomprensibile) IGNAZIO GIOCHIAMOLA! NESTA! LA PALLA LUNGA PER ZLATAN! HA PAREGGIATO MARIO CUORE ROSSONERO! CASSANO, CASSANO, CASSANO, MAXI, HA PAREGGIATO MARIO BERETTA!…E’ stato annullato? E’ stato annullato? Cos’è successo, ragazzi ditemi qualcosa! E’ stato annullato. Bene. E’ stato annullato. Gol annullato. Eh? Eh? E’ stato annullato? Vediamo, Muntari…andiamo. Ragazzi ditemi se…c’è questo gol del Cesena o no, che ho fatto casino per niente! Cassano, incredibile! L’altalena delle emozioni ma…andiamo, Nocerino, andiamo, Muntari…Ibra…Boateng, andiamo, Nocerino…non c’è nessun gol del Cesena, bene! Bella figura! Ma non ci interessa! Qui lo stadio ha urlato, ha vibrato…annullato un gol al Cesena, va bene!”
(Mauro Suma)



A tu per tu con un capo ultras e una sola domanda: perché?
24 aprile 2012, 5:59 PM
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La domanda, in questi casi, è sempre la stessa: perché? Si rischia di essere banali, è vero e la logica del giusto e dello sbagliato può non essere esaustiva. Viene da chiedersi, più che altro, cosa spinga a tutto questo, a Roma-Lazio del 2004, a Genova-Siena di domenica, a Vincenzo Spagnolo sempre a Genova, a Raciti, a tutto questo sottobosco nemmeno troppo “sotto” che fa da cornice al calcio italiano. Il giudizio non può che essere tranciante e di condanna assoluta, ma il moralismo è una medicina ormai evidentemente inutile. Perciò ci si deve chiedere perché e le loro parole, degli ultras, se non sono istruttive sono comunque significative. Abbiamo immaginato di intervistarne uno, un qualsiasi capo ultras di una qualsiasi squadra di serie A, provando a intuirne le parole che forse possono spiegare meglio di ogni cosa i nostri perché.


Ha un cappellino verde e una felpa rossa con il cappuccio tirato su. Sta fumando una sigaretta e appena ci vede la spegne sotto la suola di una scarpa da ginnastica bianca. Occhiali da sole, viene verso di noi guardandosi intorno, come per controllare che tutto sia a posto. L’abbiamo chiamato tre giorni fa per concordare un’intervista e non è stato semplice: per interposta persona ha voluto sapere di cosa vogliamo parlare, se scriveremo il suo nome o meno, se filmeremo o registreremo. L’appuntamento è proprio sul piazzale dello stadio e dopo averci stretto la mano frettolosamente ci indica un bar poco distante. Non diciamo il suo vero nome, lo chiameremo Paolo, così come non diciamo per quale squadra italiana fa l’ultrà, ma siamo in serie A. Una volta seduti al tavolino in fondo al bar si scioglie e sembra perdere quell’aria da agente segreto in missione. Forse era tutta scena.
– Paolo, iniziamo da te: che lavoro fai e in cosa consiste per te essere un ultras? “Non ho un lavoro fisso, ce l’avevo ma mi hanno lasciato a casa. Da tre anni faccio un po’ di cose: giardiniere, muratore, a volte barista, oppure do una mano a qualche amico. Gli ultras? Sono la mia famiglia. In curva sono cresciuto, in curva ho imparato come si vive, in curva ho sviluppato i miei valori. La squadra è la mia città e l’ideale che tiene uniti tutti noi”.
– Da quanto segui assiduamente la squadra?“Ho 31 anni, vado allo stadio da quando ne avevo 13. E quando non ci sono andato è perché non potevo andarci”
– Sei un violento come tanti ultras di cui si parla su giornali e tv?“Allora, di interviste in cui gli ultras dicono che non sono solo violenti ma fanno tanta beneficenza ne ho già lette tante, per cui ti dico che sì, sono violento. Ma non sono pazzo né ignorante: è violenza che nasce e finisce tra gli ultras, come due giocatori che si picchiano in campo e al fischio finale tutto finisce. Ci sono tre o quattro partite all’anno che è matematico che finiscono a mazzate”.
– Pensi anche tu che se le Forze dell’Ordine fossero meno inflessibili la violenza negli stadi diminuirebbe?“Dipende, non è sempre vero. A volte non c’è nessun motivo per fare casino e tutto nasce da problemi con gli sbirri che alzano la cresta, ma per esempio in quelle tre o quattro partite che ti dicevo prima se ci lasci liberi di fare quello che vogliamo facciamo un casino infernale”.
– La cosa più grave che hai fatto allo stadio o la situazione più incredibile in cui ti sei trovato?“Mi hanno lamato due volte e una volta mi hanno buttato fuori strada in macchina. Ma ci sta, fa parte del gioco. Anche sulle lame si dicono un sacco di cazzate: le lame devi saperle usare e se le sai usare dai un taglio sul culo. Il problema sono gli idioti che non dicono niente se vedono una lama in mano a un ragazzino. Ma vedi ti dico che le ho prese o che le ho date ma se devo rispondere a questa domanda non mi viene da parlare di botte e casini…”.
– E di cosa ti viene da parlare?“Magari di quando un dirigente voleva mandare via l’allenatore e ci siamo trovati con lui proprio qui in questo bar e ci chiedeva di fischiare il mister e di fargli le scritte sotto casa. Oppure quando qualcuno della società ci ha chiamato dicendo che gli sbirri avevano beccato un giocatore con la coca e allora ci chiedeva di procurargliela noi in qualche modo per non farlo andare a chiedere dalla gentaglia pericolosa. E ancora ti posso dire che noi in curva possiamo indirizzare 3.000 voti sicuri, sai cosa vuol dire? Vuol dire che i presidenti e i politici in Italia vanno in televisione a gettarci merda addosso e appena finito il collegamento ci chiamano per dirci che hanno detto un sacco di cazzate solo perché non potevano fare altrimenti. Questo succede”
– La tua squadra di calcio ti ha mai mantenuto?“Certo e non lo vedo scandaloso. A volte mi hanno dato proprio un lavoro da fare, sennò noi organizziamo le trasferte e qualcosa per noi rimane sempre. D’altronde non è semplice garantire ogni volta almeno 2.000 persone dovunque si giochi: prova ad andare da un’azienda e chiedigli di garantirti 2.000 persone ovunque in Italia ogni due settimane la domenica o il sabato sera, prova e vedi quanti soldi ti chiedono. Noi ci facciamo un culo così ed è giusto che qualcosa ci rimanga in tasca. In un certo senso siamo una componente fondamentale di sto circo”.
– No al calcio moderno è uno dei vostri slogan…“Il calcio delle poltrone e dei salotti, con troppi soldi che girano e troppo marcio. Il calcio è marcio e in questo gli ultras sono forse gli ultimi ad avere colpa. E ti dico anche che di sono ultras che mi fanno schifo. Perché il dirigente che ci ha chiesto di rompere i coglioni al mister io l’ho appeso al muro e gli ho detto che non mi compra nessuno, ma ci sono quelli che la mentalità ultras non sanno nemmeno cos’è e di queste merdate ci vivono. Poi ci mancherebbe gli stinchi di santo non esistono ma c’è un limite”.
– Parlavi di valori che hai imparato in curva. Cioé?“Ho imparato a cavarmela, a rispettare e a pretendere rispetto. In Italia uno ricco e potente avrà sempre la meglio su un povero cristo, mentre in curva non esiste tutto questo, sei solo tu, la tua passione e i tuoi sacrifici. Sembra scontato ma non lo è”.
– Cosa ne pensi dei fatti di Genoa-Siena di domenica?“Penso tutto quello che ti ho già detto. Penso che nel sistema in cui siamo non ci sia nulla di strano in quel che è successo. I calciatori se non vogliono pressioni dalla curva non devono averci a che fare mai: non è possibile invece che il capo ultras il giorno prima è un amico da tenersi buono e il giorno dopo la bestia da tenere lontana. E lo stesso vale per presidenti e dirigenti”.
– Ultima domanda, forse banale, ma sempre attuale: questo calcio e questi ultras possono cambiare?“In alcune cose sì e farebbe bene anche a noi ultras, perché ti ripeto che il problema sono i rapporti che le curve hanno con le società e le istituzioni. E’ come se sei sposato e ti fai un’altra, poi non ti puoi lamentare se questa ti rompe i coglioni e non puoi dire che non la conosci quando ti piomba in casa davanti a tua moglie”. (Marco Vailati)



Bobo Vieri, “bambinone” da 272 gol, ai microfoni di TMB
19 aprile 2012, 3:24 PM
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“Non mi sono mai considerato un fenomeno e il mio gioco era semplice: spalle alla porta, stop di petto, mi giro di fisico e tiro forte. Tutto qui”. Tutto qui significa per Christian Vieri 272 gol in una carriera che lo ha visto indossare tante maglie: insieme ad Aldo Serena, “Bobo” è l’unico calciatore ad aver giocate nelle quattro squadre di Torino e Milano. Ha fatto e fa parlare, da tanti è detestato, ma Pelé lo ha inserito nella “Fifa100”, la lista dei 125 migliori calciatori della storia e secondo la rivista World Soccer occupa il 71° posto nella classifica dei migliori marcatori del XX secolo. Ha segnato all’esordio, contro la Moldavia, il 1000° gol della Nazionale italiana, insieme a Baggio e Paolo Rossi è il giocatore che ha segnato più reti in un mondiale in maglia azzurra ed è al 9° posto nella classifica dei marcatori di tutti i tempi in azzurro.
– E allora cosa non ha funzionato? “Io il mio l’ho sempre fatto – racconta Vieri seduto ad un tavolino di fronte a un locale in corso Sempione a Milano – poi le vittorie dipendono da tante cose. Io ho la coscienza a posto, al massimo mi sono infortunato un po’ troppo spesso: senza gli infortuni avrei fatto 100 gol in più”.
– Perché allora Bobo Vieri è una figura così discussa?“Dai non stiamo qui a dirci le solite cose scontate tipo “io sono fatto così “ e roba simile – continua Bobo -. Semplicemente ho fatto le mie scelte e le ho pagate nel bene e nel male. E non mi importa se si parla di me non per i miei gol ma perché ho denunciato l’Inter: l’ho fatto e basta e vado avanti per la mia strada”.
– Hai introdotto tu: perché quella denuncia e cosa vuoi ottenere?“Ho introdotto e chiudo subito: c’è un processo in corso e non mi va di parlarne. Parliamo di calcio”.
– E se ti chiedessi dell’auto rubata dal finto parcheggiatore in corso Como?“Mi faresti innervosire perché anche quella storia mi ha stufato. In quel modo dei banditi hanno truffato e rubato auto a tante persone a Milano, ma ovviamente si parla solo di me. Ho sbagliato a dargli le chiavi? Sì, ho sbagliato, ma ripeto parliamo di calcio”.
– E sia: partiamo dalla Juventus.“Quella Juventus era la migliore squadra italiana degli ultimi vent’anni, non ho mai visto un’organizzazione così perfetta. Anzi, forse troppo perfetta per me – ride Bobo -. A parte gli scherzi a Torino si respirava voglia di vincere, tutto era organizzatissimo, niente lasciato al caso. I giovani come me erano protetti e crescevano bene e i più vecchi non mollavano mai. A pensarci ora, sarebbe stato meglio fare tutta la carriera lì”.
– Luciano Moggi, invece, ha fatto scelte diverse, con quella storia della bugia all’Avvocato…“Ha fatto il suo lavoro e ha vinto anche dopo avermi ceduto, quindi ha avuto ragione. La storia dell’Avvocato è verissima – continua Vieri -: il pomeriggio di fronte a me Moggi assicura ad Agnelli che rimango alla Juve, in serata vola a Madrid e a mezzanotte mi chiama il mio procuratore dicendomi che vado all’Atletico. Moggi era il migliore anche per quello: quale altro dirigente avrebbe avuto il coraggio di prendere per il culo l’Avvocato?”
– Eri contento di andare in Spagna?“Ma sì, a dire la verità non capivo un cazzo allora – ride ancora -. Mi coprivano di soldi ed ero curioso di andare a Madrid: forse avrei dovuto valutare meglio”.
– Ma l’anno dopo arriva la Lazio di Cragnotti e ti porta a Roma…“Ero contentissimo di tornare in Italia. Tra l’altro la squadra era fortissima, peccato per lo scudetto perso in quel modo a due giornate dalla fine. Quella è stata la delusione più brutta della mia carriera, ricordo che all’Olimpico piangevo come un bambino mentre il Milan vinceva lo scudetto a Perugia”.
– Poco dopo Bobo Vieri diventa “mister 90 miliardi” e si tinge di nerazzurro: la scelta giusta?“Facile dire no adesso dopo non aver vinto nulla – continua Bobo –: è andata così, ci siamo andati vicini e ho tanti rimpianti”.
– Suppongo il riferimento sia al 5 maggio 2002…“Una sensazione simile a quella che ti dicevo prima, ancora una volta lo scudetto mi è sfuggito a un passo dalla fine. Ma il rimpianto è anche non aver giocato la doppia semifinale di Champions contro il Milan nel 2003, perché mi ero fatto male a Valencia nel ritorno dei quarti. Quell’anno segnavo come un mitragliatore e sono convinto che con me in campo avremmo passato il turno”.
– Qual era il “male oscuro” di quell’Inter?“C’era troppa fretta e il presidente non era lucido nelle scelte. Non a caso l’Inter ha vinto tutto quando è arrivato uno come Mourinho che è riuscito a diventare l’unico punto di riferimento e l’unico a prendere decisioni”.
– Perché da idolo dei tifosi nerazzurri sei andato al Milan?“Perché era la squadra più forte tra quelle che mi volevano – risponde Vieri -. Ripeto io ho sempre dato il massimo per le squadre in cui ho giocato ma non sono mai stato juventino, interista o milanista. Qualcuno mi può dare del mercenario e non me ne frega niente, tutti i giocatori sono mercenari”.
– Zidane, Ronaldo, Kakà: hai giocato con i migliori degli ultimi vent’anni…“E’ per quello che ho fatto tanti gol – scherza –. Io non mi sono mai considerato un fenomeno e il mio gioco era semplice: mi piaceva stare spalle alla porta, stoppare di petto, girarmi di fisico e tirare forte. Tutto qui. La cosa strana è che hanno sempre parlato di me come di un “cazzone” lavativo e invece per diventare Bobo Vieri ho lavorato tantissimo, più di tutti gli altri, altrimenti sarei rimasto tra B e C. Il fisico ce l’avevo e di spalla buttavo giù tutti, ma tecnicamente quelli che citi tu sono di un altro pianeta: Ronaldo, per esempio, non si allenava mai perché non ne aveva bisogno”.
– Ancora una volta sei tu a dirlo: “cazzone” e lavativo, perché?“Ci sta anche questo non mi lamento. Se volevo farmi una serata non mi nascondevo, mi piace divertirmi e non ho mai rinunciato a nulla. Poi in sto mondo se vogliono ti massacrano: pensa a quello che è successo a Coco, l’hanno distrutto e invece è stato sfortunatissimo. L’hanno operato male alla schiena e rischiava di non camminare più, per tornare ha fatto sacrifici enormi ma contava solo se stava con Manuela (Arcuri, ndr)”.
– Chi è e cosa fa Bobo Vieri oggi?“E’ un ex giocatore che va orgoglioso dei gol che ha segnato e di quello che ha fatto nel calcio – conclude Vieri – ed è un uomo felice: sono un bambinone e non lo nascondo, ma non sono uno scemo: fortunatamente ho guadagnato una montagna di soldi e li ho investiti bene e per questo non ho nessuna voglia di crescere”. (Marco Vailati)



Carlo Pellegatti su Milan-Juve ai microfoni di TMB
2 marzo 2012, 12:30 PM
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“Il Milan pareggia questa partita, la Juventus per errore si è salvata nel primo tempo, ora c’è lancio lungo Tagliavento, uno a uno. Che ingiustizia che ingiustizia, che vergogna. Che ingiustizia che vergogna. Che ingiustizia che vergogna. Che ingiustizia che vergogna. Che ingiustizia che vergogna. E Conte è meglio che vada proprio a salutare il Signor Tagliavento e ringraziarlo. E allora vediamo, ecco, Conte, va a salutare tutti, anche Van Bommel, non so che cos’ha da dire, ecco, ancora ha qualcosa da dire Conte, e allora, ha ancora qualcosa da dire Conte!!! Ha ancora qualcosa da dire Conte!!! Conte senza vergogna! Conte è senza vergogna! Conte è senza vergogna! Conte è senza vergogna! Va a dire qualcosa! Conte è senza vergogna! Conte è senza vergogna! Conte è senza vergogna va a protestare. Conte è senza vergogna! Conte è senza vergogna! E ancora Chiellini protagonista, ancora, la provocazione, senza vergogna la Juventus, è senza vergogna! Conte è malato mentale. Vai, e vai negli spogliatoi stasera, cazzo rompi i coglioni stasera, stasera muto e vai negli spogliatoi! Guarda che roba guarda che roba! Guarda, guarda! Colpa di quel testa di cazzo, colpa di quel testa di cazzo! Vai negli spogliatoi e vai! Per fare incazzare Ambrosini ce ne vuole! Non dir stupidate. E allora vediamo, al minuto al minuto è finita al 49, e allora vediamo, Ambrosini furente, ecco. Diamo la linea alla regia”. (Carlo Pellegatti)



A tu per tu con il “Cholo” Diego Pablo Simeone
24 gennaio 2012, 12:22 PM
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“Sarò sempre un guerriero. Il meglio? Maradona. Ho picchiato Ronaldo? Quasi…”


“In quel momento mi sentivo perso, non capivo niente e avrei voluto piangere. Ma non ho potuto fare altro perché nella mia carriera ho sempre dato tutto per la maglia che indossavo: per me la professionalità è una religione”. Diego Pablo Simeone, oggi una carriera da allenatore che ha fatto tappa anche in Italia, a Catania, ma tanti ricordi che riaffiorano con una passione particolare, come quella che il “Cholo” metteva in ogni contrasto a centrocampo. Appena iniziata l’intervista specifica che del 5 maggio 2002 farebbe volentieri a meno di parlare, ma come nel più classico dei copioni è proprio lui che attacca subito: “In quel momento mi sentivo perso”. Il momento è quello in cui Simeone infila Toldo all’Olimpico, affossando i sogni di scudetto nerazzurri. Lui, Simeone, che quello scudetto nerazzurro l’aveva soltanto sfiorato e sognato.
– E allora perché quella atroce cattiveria al popolo nerazzurro?“Non mi piace parlare di quella partita, perché mi sembra quasi di aver lasciato solo quel ricordo all’Inter – continua il “Cholo” -. La professionalità per me è una religione e alla Lazio devo tanto quanto all’Inter: a Roma abbiamo vinto uno scudetto incredibile e ho giocato stagioni meravigliose. Non mi sarei mai permesso di risparmiarmi con la Lazio, nemmeno quel giorno”.
– Sportività e correttezza prima di tutto…“Certo, ma avrei potuto tranquillamente mandarla alta e non sarebbe successo niente. Magari la Lazio avrebbe vinto lo stesso e io non sarei ricordato per questo. Ma non è nelle mie corde e proprio per questo mio carattere i tifosi dell’Inter mi hanno amato”.
– Quanta rabbia c’è dentro di lei per non aver vinto lo scudetto nel ’98?“Rabbia, giusto. Quell’anno ne sono successe di tutti i colori. Ma non mi piace tornare a parlarne: in questo momento dopo Calciopoli l’Italia deve voltare pagina, altrimenti non ci muoviamo più”.
– Un ricordo, il più bello, di Ronaldo. “E’ l’unico giocatore che mi divertivo a guardare giocare in allenamento. Era fantastico quando andava come un missile in mezzo a due o tre e poi si fermava all’improvviso li faceva recuperare per lasciarli indietro di nuovo. Ronaldo è il top, come Maradona e io ho giocato con Maradona”.
– E’ vero però che tra lei e Ronaldo non correva ottimo sangue?“Non mi stava simpatico, è vero. Questione di cultura del lavoro che per me è basilare mentre a lui che era un fenomeno non serviva. Non ci posso fare nulla: se vedevo un compagno di squadra che non dava il massimo mi infuriavo ed è lo stesso oggi da allenatore”.
– Quindi è vero che una volta lei ha addirittura picchiato Ronaldo ed è per questo che l’anno dopo l’hanno mandata alla Lazio?“No non l’ho picchiato, semplicemente una mattina ad Appiano l’ho preso un po’ di petto… forse un po’ troppo – ride Simeone -. Quell’anno andava tutto storto, avevamo già cambiato tre allenatori, la domenica prima avevamo perso male e Ronaldo era arrivato al campo alle 11 con l’allenamento che iniziava alle 9.30. Non ci ho visto più. Ma non credo di essere stato mandato via per quello. Era arrivato Lippi che non gradiva personalità troppo forti nello spogliatoio, per cui siamo stati tagliati io, Bergomi e Pagliuca”.
– Se fosse un giornalista, come definirebbe Diego Pablo Simeone?“Un guerriero che non ha mai avuto paura di niente e nessuno”.
– Poi la Lazio e una vendetta sportiva, con lo scudetto sfilato all’ultima giornata alla Juve. “Il massimo della mia carriera, perché vincere lo scudetto in Italia è la cosa più difficile che ci sia nel calcio. Mi hanno fatto molto piacere alla fine di quell’anno le parole di Roberto Mancini: mi disse che con il mio carattere avevo cambiato in modo decisivo la mentalità della Lazio. Detto da un capo come lui…”.
– Il più forte compagno di squadra mai avuto?“Senza dubbio Maradona, il calciatore più determinante della storia. Ma ricordo tanti altri fenomeni, da Ronaldo a Veron, da Mancini a Nedved. Peccato per Recoba: con quel sinistro avrebbe potuto diventare il più grande, aveva un piede più raffinato anche di Messi”.
– Chiudiamo proprio con Maradona, anche perché lei era uno sei suoi più grandi amici. Perché per el Pibe è stato così difficile essere il numero uno?“Per due motivi – chiude Simeone -: innanzitutto perché non è stato caratterialmente forte e si è fidato di persone sbagliate e poi perché è stato sempre troppo istintivo. Nel nostro ambiente rischia grossi guai anche un calciatore semi sconosciuto che dice quel che pensa, figuriamoci Maradona. A volte conviene fingere o mordersi la lingua pensando magari al conto in banca. Diego invece sparava su tutto e tutti e l’ha pagata cara: a Italia ’90 il rigore contro l’Argentina in finale si commenta da solo, mentre a Usa ’94 gli hanno fatto perdere 20 chili in due mesi per lanciare i mondiali e poi l’hanno fregato. Altrimenti rischiava di vincere tre mondiali consecutivi da solo”. (Marco Vailati)



Tutto Quaresma in esclusiva a TMB
12 dicembre 2011, 11:43 am
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Ad Istanbul è una star. Fino ad ora non ha demeritato, anche se i suoi limiti sono sempre gli stessi. Ma Ricardo Quaresma è venerato perché è un “personaggio” sotto tutti i punti di vista, dai dribbling alle acconciature. Dopo il flop all’Inter ha in ogni caso trovato una seconda vita sportiva che lo vede sempre al centro dell’attenzione di giornalisti e tifosi, sempre emozionati dal modo in cui questo “gitano maledetto” accarezza il pallone.

  • Quaresma, al Besiktas sembra aver trovato un ambiente ideale…

Sì, qui sto bene, i turchi sono simili a me – afferma Quaresma davanti a un latte macchiato nella hall dell’albergo del ritiro dei bianconeri di Turchia -. Abbiamo una squadra forte e ad ogni partita lo stadio è pieno di tifosi che incitano sempre. Per me è il massimo”.

  • E’ un sottile riferimento ai tifosi dell’Inter che invece criticano tutto e subito?

Io rispetto sempre i tifosi e rispetto quelli dell’Inter. Quando un paio di volte ho reagito ai fischi ho sbagliato, ma anche noi siamo umani nonostante i soldi che prendiamo e i privilegi che abbiamo. E poi io sono fatto così, prendere o lasciare: se sento la fiducia intorno a me riesco a dare il massimo”.

  • Mettiamola giù così: a Milano i tifosi non l’hanno capita?

Mettiamola giù così, va bene. E’ stata un’esperienza nata male fin dall’inizio e mi dispiace molto. Sono arrivato e tutti fin dall’inizio dicevano che ero il capriccio di Mourinho e del suo procuratore, ho segnato alla prima partita e sembravo un fenomeno poi in un mese sono diventato un bidone. In questo lei ha ragione, non capisco molto i tifosi dell’Inter. Ma è andata così e non voglio fare polemica”.

  • Non facciamo polemica, ma proviamo a fare autocritica: cosa le è sempre mancato per diventare un fenomeno?

Ho tanti difetti ma non sono un presuntuoso e, ripeto, io sono fatto così e lo sanno tutti. Per me il calcio è divertimento e non rinuncerò mai a un dribbling o a una giocata difficile se me la sento dentro. Mi si può dire che non gioco per la squadra o che sono indisciplinato e lo accetto, ma questo sono e questo rimango, poi ognuno si fa la propria opinione”.

  • Non giriamoci intorno, cosa non ha funzionato all’Inter?

In tutte le squadre ci sono alcuni giocatori che comandano e all’Inter anche di più. E’ normale, ci mancherebbe, ma questo a volte può non essere di aiuto per l’ultimo arrivato che non conosce l’ambiente e avrebbe bisogno di un supporto. Non accuso nessuno, semplicemente è così. Quando qui al Besiktas provo un tunnel e non mi riesce i miei compagni mi applaudono, all’Inter anche se il tunnel mi riusciva i compagni mi guardavano male. Questione di mentalità”.

  • E Mourinho in tutto questo non ha fatto nulla per lei?

Mourinho è un tipo molto particolare. Lo stimo, ma se sei con lui e lui ti vede bene ti difende fino alla morte, altrimenti ti cancella e sono dolori. Forse lo fa per scuotere e motivare, ma dipende con chi hai a che fare: personalmente se l’allenatore non mi parla io non sto bene. Però c’è da dire che in questo Mourinho non fa distinzioni e non ha prediletti: fa così con tutti indistintamente”.

  • Eppure era proprio Mourinho ad averla voluta così insistentemente…

Infatti una volta, prima di un allenamento ad Appiano, gliel’ho detto. Gli ho chiesto come mai faceva così se mi aveva preteso in quel modo. Praticamente non mi ha risposto, quasi mi ignorava e mi diceva di fare in fretta a cambiarmi perché iniziava l’allenamento”.

  • Chi ha apprezzato e chi ha detestato all’Inter?

Andavo d’accordo con Balotelli: Mario è un po’ come me e sono contento che adesso al City stia girando bene. Ma avevo ottimi rapporti anche con Maicon, Santon e Ibra. Non comunicavo molto facilmente, invece, con il gruppo degli argentini: loro sono molto uniti e avevano fiducia totale di Mourinho. Ma l’unico con cui ho avuto problemi è stato Materazzi, il compagno di squadra che non vorrei mai avere”.

  • Perché? Cos’è successo con Matrix?

Diciamo che ha il giudizio facile. Mi prendeva di mira dicendomi che non mi impegnavo, ma cosa ne sapeva lui? Ogni partita e ogni allenamento, sempre così, con l’atteggiamento da sbruffone. Non lo sopportavo, anche se devo dire che alla fine della mia esperienza all’Inter abbiamo avuto un chiarimento e quindi non mi sento di condannarlo: è fatto così come io sono fatto così”.

  • Cosa farebbe di diverso se potesse tornare indietro?

Non andrei all’Inter. Avrei dovuto rimanere al Porto: ero un re, giocavo in un top club di un campionato importante e giocavo sempre in Champions”.

  • Un’ultima domanda che non possiamo non fare: se potesse tornare indietro non farebbe qualche “trivela” in meno e qualche passaggio semplice in più?

No, assolutamente no. D’altronde se una squadra vuole uno che fa i passaggi semplici basta comprare uno che fa i passaggi semplici, io non sono così. Anche questa storia della “trivela” è stata montata troppo: semplicemente mi piace colpire con l’esterno destro perché riesco a dare più taglio al pallone, tutto qui. E qui al Besiktas la “trivela” piace a tutti”.

Piace anche a noi. Quando la fa al Besiktas. (M.V.)