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A TMB Mario Adinolfi, uno juventino a Roma e tante altre cose…


A TuttoMoltoBello i personaggi come lui piacciono molto. Schietto, mai banale, spesso controcorrente, sfrontato e senza timore. Mario Adinolfi, generazione quarantenni senza paura, è tante cose: giornalista, deputato, pokerista, romano e… juventino doc. Tra blogger ci si intende con un click: in pochi minuti e un paio di messaggi su Facebook inizia una bella chiacchierata che parte inevitabilmente dal 10 maggio 1981, gol annullato a Maurizio Turone.


– Da Turone in poi, Roma-Juve più che una partita di calcio sembra essere un binomio antinomico. Come si fa a essere juventino e romano de roma?

“Mica semplice – racconta Adinolfi a TMB – pensa che io sono romano di Testaccio, il santuario romanista, il primo stadio, Campo Testaccio, dove giocava la Roma. Essere Juventino qui è una palestra che forma il carattere. Forse perché sono mezzo australiano ho sempre provato un fastidio fisico per i campanilismi e pur sentendomi profondamente romano non ho mai amato il romanismo esasperato. Roma per me è sinonimo di universalità e il nome latino Juventus mi ha affascinato da subito. Certo è faticoso tifare Juve a Roma, qui c’è un lato goliardico particolarissimo: qualcuno mi sfotte dandomi del cripto-romanista, in realtà sono semplicemente un grande appassionato dei colori bianconeri. Amo il dna della Juve che emerge dalle parole di Boniperti: alla Juve vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. La vittoria è quel che rimane al di là di ogni chiacchiera”.

– 22 maggio 1996: una data importante, suppongo…

“Uno dei momenti più belli per me, avevo 25 anni, ero all’Olimpico quella sera ed ero al settimo cielo – prosegue Adinolfi ricordando la finale di Champions vinta dalla Juve sull’Ajax proprio a Roma -. La Juve ha vinto all’Olimpico dove la Roma non ci era riuscita con il Liverpool e l’emozione più grande furono i giocatori che festeggiavano con la coppa in mano sotto una curva sud tutta bianconera…”.

– Ma Turone non si riesce proprio a superare?

“In effetti risale a trent’anni fa ma è un gioco che si rinnova. Dopo Turone c’è stato Aldair, nel ’94, secondo i romanisti spinto dal guardialinee su una rimessa laterale che aveva portato al gol Ravanelli. Pensa che quel giorno io ero andato a Torino su un treno speciale di ultras giallorossi, infiltrato con la mia sciarpa bianconera nello zaino: che esperienza. Fui premiato da una grande vittoria con le solite polemiche, ma così è ancora più bello”.

– Turone, Aldair e, ovviamente, Zeman: un male o un bene per il calcio?

“Secondo me Zeman non ha fatto male al calcio. E’ un provocatore e ha capito che il giochetto funziona, ma non va controcorrente. Non credo insomma che da Zeman si sviluppi un’etica, è solo un ottimo insegnante di calcio e una buona persona. Non so se siamo davanti a un grande allenatore di vertice e la battuta di Agnelli su Carrera che in una partita ha vinto più di lui è azzeccatissima. Poi ovviamente nel dna romanista c’è sempre il sistema che frega la Roma e Zeman rappresenta bene tutto questo, lo mitizza. A me non piace il mito costruito sul vittimismo”.

– C’è anche Totti che ha speso belle parole per Del Piero…

“Beh – continua Adinolfi – io sono mezzo australiano di Sidney e vedere il mio capitano giocare con il numero 10 proprio a Sidney mi gratifica particolarmente. A Totti faccio gli auguri per i 37 anni appena compiuti, è un grande campione a cui rimprovero solo quel famoso gesto delle quattro dita, tra l’altro restituito l’anno scorso da Lichtsteiner. Allo Juventus Stadium i due si ritroveranno e spero che sia un duello leale senza episodi spiacevoli”.

– Se Zeman è un mito giallorosso, Moggi è ancora mito per tanti bianconeri. Cos’è Moggi per la Juve?

“La Juve è Boniperti, Agnelli, Sivori, Platini, Del Piero: la Juve non è Moggi. Se parliamo di Calciopoli, invece, Moggi è stato un pretesto per avviare meccanismi inverosimili. Si parlava della Juve come il male contrapposto a tutte le altre vittime, Inter su tutte che ne ha beneficiato alla grande: più passa il tempo più sto racconto cade. E’ incredibile che qualcuno possa negare che la Juve di quei due anni fosse la squadra nettamente più forte”.

– Non è un momento semplice per l’Italia e per l’Europa. Mentre in Spagna la gente scende in piazza, qualcuno qui ironizza sui soliti italiani che sanno pensare solo al calcio. Ma cos’è il calcio per noi?

“Il calcio è il più grande romanzo popolare, una narrazione che coinvolge tutti. Alcuni a volte mi rimproverano un eccessivo trasporto nella passione calcistica ma a me piace il flusso di emozioni di questo romanzo popolare. Non mi sento superiore e lontano da quello che alcuni chiamano popolino e non amo lo snobbismo. Chi non segue il calcio in Italia è lontano dagli umori, da quelle percezioni di gioia e dolore certamente effimere ma indicative. Il lunedì mattina al bar la chiacchiera con il vicino di tavolo sconosciuto parte sempre dal calcio, poi magari si passa a cose più serie. Il calcio ha quindi una funzione democratizzante fortissima: allo stadio, per esempio, l’imperatore e l’ultimo dei servi sono uguali, nessuna differenza. Io sono contento se i cittadini italiani riempiono gli stadi, come avverrà per Juve-Roma: non dimenticheranno la crisi, l’inflazione al 4,7% e tutti i problemi ma si divertiranno. Ci sono tanti strumenti per dire e crescere, non c’è necessariamente il forcone come a volte sembra emergere, per esempio dall’ultimo Crozza. In Italia c’è un movimento contestativo che si attesta al 18%, alle primarie del Pd parteciperanno 4 milioni di persone, ci si può impegnare personalmente, ci sono strumenti democratici che ci mettono davanti alla Spagna. Come l’occupazione di Wall Street che fa rumore e poi magari vota il 40%, mentre qui voterà il 70-80% degli italiani. Non dimentichiamo questa nostra voglia di partecipare, più forte di proteste estemporanee. Una partecipazione che parte anche dal bar, dove con il cappuccino si parla di calcio e politica”. (Marco Vailati)


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