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A tu per tu con il “Cholo” Diego Pablo Simeone
24 gennaio 2012, 12:22 PM
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“Sarò sempre un guerriero. Il meglio? Maradona. Ho picchiato Ronaldo? Quasi…”


“In quel momento mi sentivo perso, non capivo niente e avrei voluto piangere. Ma non ho potuto fare altro perché nella mia carriera ho sempre dato tutto per la maglia che indossavo: per me la professionalità è una religione”. Diego Pablo Simeone, oggi una carriera da allenatore che ha fatto tappa anche in Italia, a Catania, ma tanti ricordi che riaffiorano con una passione particolare, come quella che il “Cholo” metteva in ogni contrasto a centrocampo. Appena iniziata l’intervista specifica che del 5 maggio 2002 farebbe volentieri a meno di parlare, ma come nel più classico dei copioni è proprio lui che attacca subito: “In quel momento mi sentivo perso”. Il momento è quello in cui Simeone infila Toldo all’Olimpico, affossando i sogni di scudetto nerazzurri. Lui, Simeone, che quello scudetto nerazzurro l’aveva soltanto sfiorato e sognato.
– E allora perché quella atroce cattiveria al popolo nerazzurro?“Non mi piace parlare di quella partita, perché mi sembra quasi di aver lasciato solo quel ricordo all’Inter – continua il “Cholo” -. La professionalità per me è una religione e alla Lazio devo tanto quanto all’Inter: a Roma abbiamo vinto uno scudetto incredibile e ho giocato stagioni meravigliose. Non mi sarei mai permesso di risparmiarmi con la Lazio, nemmeno quel giorno”.
– Sportività e correttezza prima di tutto…“Certo, ma avrei potuto tranquillamente mandarla alta e non sarebbe successo niente. Magari la Lazio avrebbe vinto lo stesso e io non sarei ricordato per questo. Ma non è nelle mie corde e proprio per questo mio carattere i tifosi dell’Inter mi hanno amato”.
– Quanta rabbia c’è dentro di lei per non aver vinto lo scudetto nel ’98?“Rabbia, giusto. Quell’anno ne sono successe di tutti i colori. Ma non mi piace tornare a parlarne: in questo momento dopo Calciopoli l’Italia deve voltare pagina, altrimenti non ci muoviamo più”.
– Un ricordo, il più bello, di Ronaldo. “E’ l’unico giocatore che mi divertivo a guardare giocare in allenamento. Era fantastico quando andava come un missile in mezzo a due o tre e poi si fermava all’improvviso li faceva recuperare per lasciarli indietro di nuovo. Ronaldo è il top, come Maradona e io ho giocato con Maradona”.
– E’ vero però che tra lei e Ronaldo non correva ottimo sangue?“Non mi stava simpatico, è vero. Questione di cultura del lavoro che per me è basilare mentre a lui che era un fenomeno non serviva. Non ci posso fare nulla: se vedevo un compagno di squadra che non dava il massimo mi infuriavo ed è lo stesso oggi da allenatore”.
– Quindi è vero che una volta lei ha addirittura picchiato Ronaldo ed è per questo che l’anno dopo l’hanno mandata alla Lazio?“No non l’ho picchiato, semplicemente una mattina ad Appiano l’ho preso un po’ di petto… forse un po’ troppo – ride Simeone -. Quell’anno andava tutto storto, avevamo già cambiato tre allenatori, la domenica prima avevamo perso male e Ronaldo era arrivato al campo alle 11 con l’allenamento che iniziava alle 9.30. Non ci ho visto più. Ma non credo di essere stato mandato via per quello. Era arrivato Lippi che non gradiva personalità troppo forti nello spogliatoio, per cui siamo stati tagliati io, Bergomi e Pagliuca”.
– Se fosse un giornalista, come definirebbe Diego Pablo Simeone?“Un guerriero che non ha mai avuto paura di niente e nessuno”.
– Poi la Lazio e una vendetta sportiva, con lo scudetto sfilato all’ultima giornata alla Juve. “Il massimo della mia carriera, perché vincere lo scudetto in Italia è la cosa più difficile che ci sia nel calcio. Mi hanno fatto molto piacere alla fine di quell’anno le parole di Roberto Mancini: mi disse che con il mio carattere avevo cambiato in modo decisivo la mentalità della Lazio. Detto da un capo come lui…”.
– Il più forte compagno di squadra mai avuto?“Senza dubbio Maradona, il calciatore più determinante della storia. Ma ricordo tanti altri fenomeni, da Ronaldo a Veron, da Mancini a Nedved. Peccato per Recoba: con quel sinistro avrebbe potuto diventare il più grande, aveva un piede più raffinato anche di Messi”.
– Chiudiamo proprio con Maradona, anche perché lei era uno sei suoi più grandi amici. Perché per el Pibe è stato così difficile essere il numero uno?“Per due motivi – chiude Simeone -: innanzitutto perché non è stato caratterialmente forte e si è fidato di persone sbagliate e poi perché è stato sempre troppo istintivo. Nel nostro ambiente rischia grossi guai anche un calciatore semi sconosciuto che dice quel che pensa, figuriamoci Maradona. A volte conviene fingere o mordersi la lingua pensando magari al conto in banca. Diego invece sparava su tutto e tutti e l’ha pagata cara: a Italia ’90 il rigore contro l’Argentina in finale si commenta da solo, mentre a Usa ’94 gli hanno fatto perdere 20 chili in due mesi per lanciare i mondiali e poi l’hanno fregato. Altrimenti rischiava di vincere tre mondiali consecutivi da solo”. (Marco Vailati)


1 commento so far
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“Peccato per Recoba: con quel sinistro avrebbe potuto diventare il più grande, aveva un piede più raffinato anche di Messi”

AAAAHHHH come gioca Recoba!

J.

Commento di Jacopo




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