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SPECIALE CONFEDERATIONS CUP – Le religioni hanno i loro templi e le loro cattedrali, che spesso rivelano forme maestose, strabilianti, il tutto per accogliere al meglio il senso del culto. Nel più eretico mondo di tutti i giorni lo sport è culto popolare, e se si parla di Brasile il pallone ne è il simbolo indiscusso. Ecco che allora come ogni sacralità che si rispetti, oltre ad avere la sua fede ed i suoi riti, anche il pallone ha il suo tempio. Quando si parla di Maracanà si fa riferimento a tutto questo: un luogo dove il mito trova sfogo.
L’Estádio Jornalista Mário Filho, questo il suo nome, è lo stadio per eccellenza di Rio de Janeiro, ed insieme alla “Bombonera” di Buenos Aires sicuramente il più leggendario del Sud America. Il sapore epico del Maracanà, oltre al fatto di essere lo stadio delle quattro principali squadre brasiliane, e per questo teatro di derby infuocati, è stato alimentato dagli anni ’50 e per i decenni successivi per il fatto di essere lo stadio più capiente del mondo. Nato per ospitare i mondiali del 1950, il Maracanà aveva praticamente tutti posti in piedi e il flusso di gente che lo popolava era incredibilmente al limite della sua sopportazione. Il termine “bolgia” riferito ad uno stadio probabilmente per quello che era il Maracanà negli anni ’50, ’60 e ’70 pare poco. Non si è mai arrivati ad un numero ufficiale, ma si stima che lo stadio abbia accolto più di 160.000 tifosi, con punte a sfiorare i 200.000 (due volte e mezzo San Siro). Con gli anni ovvie ragioni di sicurezza hanno portato ad una ristrutturazione radicale del Maracanà, che nei prossimi mondiali ospiterà poco più di 78.000 spettatori, incredibilmente tutti con posti a sedere. Questo ultimo aspetto, che sembra essere normale, a detta di molti brasiliani che hanno vissuto e respirato negli anni dentro lo stadio, il fatto di poter entrare con un posto assegnato (e sedersi) pare quasi una rivoluzione. Lo scorso 30 maggio si è tenuta la prima partita nel nuovo Maracanà: l’amichevole tra Brasile Inghilterra, finita con un pareggio. Il match settimane prima fu anche a rischio perché la Fifa non riteneva ancora pronta la struttura in termini di sicurezza, poi tutto è andato a buon fine. La prima partita ufficiale è stata la vittoria degli azzurri contro il Messico ieri sera, valevole per la Confederations Cup. La gestione del Maracanà è affidata ad un consorzio privato con a capo il miliardario brasiliano Eike Batista, patron di una holding che gestisce cinque aziende che hanno avuto un ruolo fondamentale in molti settori del Paese, come per esempio nella progettazione del complesso portuario più grande del Sud America, oppure nella gestione del primo impianto solare del Brasile. Ci sono stati anche malumori per il passaggio in mano privata (con un contratto per i prossimi 35 anni) del Maracanà, sempre stato pubblico. La sacralità di un tempio è pur sempre da rispettare. Botafogo, Vasco da Gama, Fluminense, e Flamengo sono le squadre del Maracanà, stadio che ha ospitato i più grandi talenti calcistici del mondo. L’elenco sarebbe infinito: Zico, Jair, Socrates, Romario, Ronaldihno sono solo alcuni. Roba da alieni, insomma. E poi il più “santone” di tutti, Pelè, che nel novembre del 1969 con la maglia del Santos segnò al Maracanà il millesimo gol in carriera. Un fascino ed una storia senza eguali, un teatro con gli attori più talentuosi che ci siano. La finale dei prossimi mondiali sarà proprio nel nuovo Maracanà, e già i tifosi brasiliani fanno gli scongiuri: nella finale del 1950 infatti ci fu la sconfitta dei verde oro, battuti dall’Uruguay. Il Maracanà alla fine è luogo che rimanda a pensieri e suoni unici, quei suoni che anche dopo le odierne ristrutturazioni si possono comunque sentire ancora provenire da quei 200.000 spettatori, uniti in una bolgia colossale a cantare e ballare di fronte allo sport più bello del mondo. (Alberto Lucchini)
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Dopo aver parlato di strudel la scorsa settimana, proseguo nel trattare di peccati di gola che mi porto dietro sin dall’infanzia. Ebbene sì, non c’era giorno in cui all’ora della merenda mia nonna non pronunciasse la fatidica domanda; “non vuoi un paio di palacinche”? Per chi non lo sapesse le croate palacinche altro non sono che le antenati delle odierne crespelle, crepes e tortillas e la loro origine è molto antica. Le prime notizie che riguardano le palacinche ci arrivano da alcune iscrizioni dell’antica Roma del III secolo a.C., epoca in cui la ricetta si diffuse nel Lazio in seguito alle guerre che portarono alla conquista dell’Illiria (la regione che corrisponde all’attuale parte occidentale della penisola balcanica) e della Grecia, dove la plakoùnta (una sorta di focaccia) si era già largamente diffusa. Nella penisola balcanica le donne cuocevano appunto una sorta di frittella ottenuta con latte, uova, farina e grasso animale e farcita col miele. Si riteneva che la palacinca fosse stata donata dagli dei ai popoli delle steppe al fine di dare energia ai guerrieri prima delle battaglie contro le tribù rivali e si riteneva anche che fosse un alimento afrodisiaco. Decisamente più famose sono le francesi crepes, il cui termine deriva dal latino crispus, che significa arricciato. Ricordiamo la leggenda che circonda l’origine della famosa crepe Suzette: alla fine dell’800 un giovane Henri Charpentier, a servizio del famoso chef Escoffier presso il Cafè di Paris di Montecarlo, un giorno si ritrovò a preparare delle crepes per il futuro re d’Inghilterra, il principe Edoardo VIII; per errore Charpentier versò sulle crepes del liquore che provocò un’enorme fiammata, caramellando lo zucchero spolverizzato sui dolci; le crepes piacquero così tanto al principe che Charpentier decise di intitolargli la sua invenzione culinaria, ma Edoardo chiese di ribattezzare le crepes con il nome di una sua affascinante commensale: Crepes Suzette per l’appunto. Tornando alle nostre palacinche, dobbiamo sottolineare come esse siano fondamentalmente insipide, spettando alla farcitura dare il sapore: esse possono infatti diventare sia salate, con farcitura di salumi e formaggi, sia dolci, con farcitura di marmellata (per me il top in assoluto) o di crema di cioccolato…riportando le parole del nostro Charpentier, l’importante è che si sciolgano in bocca! Ingredienti: 1 uovo, 3 o 4 cucchiai di farina, la buccia grattugiata di un limone, mezzo bicchiere di latte, un pizzico di sale, marmellata (o il ripieno che preferite). Amalgamate in una ciotola gli ingredienti; ungete la padella con un goccio di olio di semi e fate scaldare; aiutandovi con un mestolo versate un po’ di pastella nella padella facendo in modo che si stenda su tutto il fondo; dopo circa un minuto dovreste essere in grado di girare la palacinca per farla dorare anche dall’altro lato; dopo aver creato le vostre palacinche, farcitele con la marmellata, arrotolatele e servitele con una spruzzata di zucchero a velo. (Federica Sacchi)
Speravamo di chiudere la prima stagione di TMB raccontandovi una grande vittoria. Non è andata così, e sinceramente di rimpianti ce ne sono pochi: ieri non c’è stata storia, come ha ammesso Buffon. La Spagna sottotono osservata contro Francia e Portogallo ci aveva forse ingannato: ieri le Furie rosse hanno dimostrato di essere ancora di un altro pianeta.
Il risultato di ieri è un mix di diversi elementi: il gap tecnico, netto ed indiscutibile; la condizione fisica: loro giocavano a mille, gli Azzurri erano sulle gambe, sfiancati da due match di rara intensità contro Inghilterra e Germania; gli infortuni di Chiellini prima e Motta poi, che completano il quadro. Per capire che la giornata fosse storta è bastato un quarto d’ora, quello che serve alla Spagna per passare in vantaggio. La facilità con cui Fabregas è andato al cross per il colpo di testa di Silva dice tutto: più veloci, più tecnici, più cattivi. Stesso discorso per il raddoppio di Jordi Alba, con la nostra difesa presa d’infilata senza grandi problemi. Il primo tempo si chiude 2-0, con la sensazione che ci sia ben poco da fare.
Al rientro in campo l’Italia ha il merito di provarci con due conclusioni pericolose di Di Natale, una di testa, alta, l’altra ben parata da Casillas. Ma la partita finisce con mezz’ora d’anticipo, quando si fa male Thiago Motta appena entrato per Montolivo: Prandelli ha esaurito i cambi (Balzaretti per Chiellini, Di Natale per Cassano) e gli Azzurri restano in 10. Il terzo e il quarto gol di Torres e Mata arrivano inevitabili.
Finisce con la grande festa della Spagna, che entra nella storia del calcio. Europei, Mondiali, Europei: tre trofei consecutivi, mai nessuno come loro. E attenzione, questa squadra sembra nel pieno del fulgore tecnico e atletico, nessun segno di cedimento: in Brasile, fra due anni, strappare loro il titolo mondiale sarà molto complicato.
E finisce con le lacrime degli Azzurri, che a riportare in Italia un titolo che manca da quasi mezzo secolo credevano davvero. E’ brutto perdere così, ma penso che arrivando fino a Kiev l’Italia abbia compiuto una formidabile impresa. Prandelli, meno di due anni fa, ha preso una squadra al capolinea, eliminata dalla Slovacchia ai disastrosi mondiali del Sudafrica. In due anni ha ricostruito un gruppo da zero, ha inserito forze fresche, e ha sfiorato il titolo europeo. Non penso serva aggiungere altro. Per questo io sono felice che lui rimanga: penso che con Prandelli la Nazionale sia in buone mani, e che possiamo guardare con fiducia alla prossima avventura, i Mondiali del Brasile.
L’articolo chiude lo speciale Euro 2012 di TMB: grazie a tutti voi che li avete seguiti qui con noi, e naturalmente grazie agli Azzurri per averci fatto sognare fino alla finale. (Giacomo Galazzo)
La storia dei confronti tra gli Azzurri e i bianchi di Germania si arricchisce di un’altra serata magica: partiti anche stavolta senza i favori del pronostico, i nostri disputano una partita memorabile e si qualificano per la finale di Kiev.
Prandelli conferma il modulo e 10 degli 11 che hanno superato l’Inghilterra, cambiando solo Abate con Chiellini (in campo dopo un recupero prodigioso) e spostando Balzaretti a destra. I tedeschi partono forte e ci mettono discretamente in difficoltà in avvio, ma gli Azzurri non si scoraggiano e tentano di ribattere. In situazioni come queste ci vogliono i fuoriclasse: e davanti l’Italia ne ha due. In un quarto d’ora prima Cassano offre a Balotelli un pallone che è solo da spingere in porta, poi il numero nove raccoglie un ottimo lancio di Montolivo e fulmina Neuer con un bolide all’incrocio dei pali. A Mario Balotelli, per entrare a far parte a pieno titolo dei più grandi attaccanti del pianeta, mancava una grande notte internazionale: eccola servita, e nella partita più importante. 2-0 e Germania sotto shock: da non crederci. Il primo tempo si chiude come non avremmo immaginato nemmeno nelle più rosee previsioni. L’Italia è brava anche nella ripresa: ti aspetti un assedio della Germania, invece controlliamo senza soffrire più del dovuto e affondandiamo più volte in contropiede. Per tre volte siamo a un passo dal colpo del ko: due volte con Marchisio e una con Di Natale. Buffon, protetto da una difesa formidabile (quest’anno mi sento di dire che non esiste in Europa un centrale più forte di Andrea Barzagli), fa il resto: la sua parata sulla punizione di Reuss vale quanto un gol, così come quella su Khedira nel primo tempo. Si soffre per davvero solo negli ultimi due minuti: al minuto 92 Ozil trasforma un rigore concesso per fallo di mano di Balzaretti, ma per i bianchi è troppo tardi. E’ un altro trionfo sulla Germania, che arricchisce il ciclo iniziato nel ’70 e proseguito nel ’82 e nel ’06: un match da includere a pieno diritto tra i più grandi trionfi della Nazionale italiana. Ed è una grande gioia per tutta l’Italia del pallone: alzi la mano chi avrebbe scommesso un solo euro sull’approdo degli Azzurri alla finale di Kiev.
Domenica ci giochiamo il titolo con la Spagna, che ha superato ai rigori un ottimo Portogallo. Con gli spagnoli campioni d’Europa e del Mondo abbiamo già giocato senza demeritare nel girone: ma quel pari non basta a togliere ai nostri avversari il ruolo di favoriti. Sulla carta, sono la nazionale più forte del Mondo. Ma sulla carta la finale se la sarebbero dovuta giocare contro la Germania: gli Azzurri hanno dimostrato una volta di più che ribaltare i pronostici è una specialità della casa. Speriamo ci riescano anche in quest’ultima sfida: 44 anni d’attesa dal primo e ultimo trionfo in Europa sono più che sufficienti.
(Giacomo Galazzo)
Rigori danno (Euro 2000), rigori tolgono (Euro 2008), rigori danno (Euro 2012). Ma l’Italia ieri avrebbe meritato di vincere ben prima. Come spesso accade, quando il gioco si fa duro gli Azzurri iniziano a giocare: non è un caso, secondo me, che le due migliori prestazioni di questo Europeo siano arrivati contro squadre molto forti. L’Italia ha la grande partita nel dna, mentre fatica molto di più contro squadre sulla carta più abbordabili (ad esempio, Croazia e Irlanda).
E ieri abbiamo confermato in pieno questa attitudine alle grandi partite. L’Italia, confermata nel 4-3-1-2 anti-Irlanda, con Montolivo al posto di Motta dietro le punte, mette da subito sotto l’Inghilterra e concede una sola grande palla gol in avvio, prontamente sventata da un super Buffon. Noi avevamo già colpito un palo clamoroso con De Rossi. L’Italia gioca meglio, tiene palla, sta nella metà campo avversaria, si rende pericolosa, spreca molte occasioni (Balotelli più volte, ancora De Rossi, Montolivo…). Per 120 minuti c’è la sensazione che il gol possa arrivare da un momento all’altro, ma nulla. La palla entra solo sul colpo di testa di Nocerino a pochi minuti dal 120′, ma il gol è annullato per fuorigioco. E quindi ce le giochiamo ai rigori, resi ancora più difficili dal timore di perdere una partita giocata di gran lunga meglio degli avversari. Per fortuna non va così, nonostante l’errore di Montolivo. La traversa di Cole e la parata di Buffon su Young ci aprono la porta della semifinale. Gli altri quattro azzurri vanno tutti a segno, con un rigore a cucchiaio di Pirlo da genio assoluto del calcio: lo collochiamo nella storia del calcio italiano, accanto a quello di Totti di Amsterdam 2000. Vittoria: una grande gioia, meritata.
Tra noi e il ritorno a Kiev per la finale c’è ora un ostacolo durissimo: la Germania grande favorita del torneo accanto alla Spagna. Reduce da 4 vittorie su 4 e da 9 gol in quattro partite. Sulla carta, hanno qualcosa in più di noi. Ci vorrà un’ Italia ancora migliore di quella di oggi, e speriamo davvero in un remake della seminfinale mondiale del 2006. Anche quella sera non eravamo favoriti… (Giacomo Galazzo)
La prima sfida tra le due nazionali è del 15 maggio 1933 a Roma, un 1-1 in amichevole con i gol di Ferrari e Bastin dopo una partita a lungo in mano agli azzurri. Cinquantamila spettatori allo stadio Nazionale di Roma, presente anche Benito Mussolini. La seconda partita è quella del trionfo inglese ad Highbury nel 1934, un 3-2 firmato da Brook (doppietta) e Drake e dalla doppietta di Meazza. Tra gli incontri più memorabili tra le due nazionali c’è la batosta subita dall’Italia a Torino nel 1948, in quell’occasione gli inglesi vinsero per 4-0. Una nuova amichevole si giocò invece a Londra nel novembre 1974 e in quel caso l’Italia riuscì a vincere per 1-0 all’Imperial Stadium di Wembley grazie ad un gol di Fabio Capello. 24 anni dopo l’Italia tornerà a vincere in trasferta grazie ad una rete di Gianfranco Zola, all’epoca bandiera del Chelsea. La prima sfida con qualcosa in palio arrivò nel 1976 nelle eliminatorie dei mondiali allo stadio Olimpico di Roma dove l’Italia vinse per 2-0 di fronte a 76 mila spettatori. A decidere la partita furono l’autogol di Keegan al 36′ e il raddoppio di Bettega al 77′. L’ultimo big match è invece la finale per il terzo-quarto posto al Mondiale italiano del 1990: gli azzurri vinsero 2-1 grazie ai gol di Schillaci e Baggio. Nell’amichevole del 2000 la partita fu invece decisa da Gennaro Gattuso. L’ultima sfida tra le due nazionali risale a 10 anni fa, il 27 marzo 2002 in amichevole a Leeds: decise Vincenzo Montella con una doppietta.
Tutto ciò per dimostrare che i precedenti tra queste due nazionali sono molteplici e quasi tutti rappresentano partite ricche di fascino con protagonisti giocatori che hanno fatto la storia del calcio. L’Inghilterra attuale è una formazione meno ricca di individualità rispetto all’ultimo decennio, ma si è dimostrata sicuramente “più squadra”,come si usa dire, e il suo modo di giocare è simile a quello tipico di una squadra italiana, brava soprattutto a non subire gol. L’Italia, dal canto suo, ci ha abituato a vederla dare il meglio nei momenti in cui non gode dei favori della critica e in cui le polemiche aleggiano intorno agli azzurri. Auguriamoci dunque di assistere ad un match degno di essere ricordato nei decenni successivi, possibilmente coi ragazzi di Prandelli ad esultare dopo il fischio finale! (Jacopo Pezzoni)
Tanto ci preoccupammo di Spagna-Croazia e del possibile biscotto, da dimenticarci che la fetta più consistente di qualificazione era ancora tutta da conquistare. Ieri con l’Irlanda non è stata precisamente una passeggiata, ma alla fine è andata bene. La correttezza sportiva dei nostri avversari sul campo di Danzica ha fatto il resto.
Quella che è scesa in campo ieri sera non è stata la migliore Italia, forse la tensione ha giocato dei brutti scherzi, e anche giocare in uno stadio letteralmente invaso dal verde dei fantastici tifosi dell’Irlanda non deve avere aiutato. Prandelli per dare la scossa ha cambiato modulo (4-3-1-2, con Motta dietro le punte e De Rossi di nuovo a centrocampo, invece del 3-5-2 utilizzato in precedenza) e uomini (dentro Barzagli, Abate, Balzaretti, Di Natale, fuori Bonucci, Maggio, Giaccherini, Balotelli), ma la prima mezz’ora è davvero brutta: gioco lento, confuso, mai un tiro in porta, apparente assenza di idee. E qualche errore molto pericoloso, su tutti quello di Motta in avvio. Ci vuole mezz’ora per rendersi pericolosi con Di Natale, ma St. Ledger salva sulla linea. Fortunatamente al 35′ ci pensa Cassano, con un bel colpo di testa che batte oltre la linea di porta. Un gol fondamentale, a partire dal quale l’Italia sembra giocare più convinta. Ma il raddoppio non arriva e si va al riposo sull’1-0, con Spagna e Croazia ancora ferme sullo 0-0. Nemmeno nel secondo tempo l’Italia riesce a imporre il suo gioco, e anzi l’Irlanda ci crede e, pur rendendosi pericolosa una sola volta su punizione (benissimo Buffon) non molla un solo pallone e ci tiene in apprensione fino al 89′, momento del supergol di Balotelli (entrato per Di Natale) che chiude la nostra partita. Da lì cominciano i due minuti più lunghi di questi Europei: al minuto 88 si sblocca infatti Spagna-Croazia con il gol di Navas. Se uno 0-0 era per noi il risultato migliore (avremmo addirittura vinto il girone), con un eventuale 1-1 si sarebbero fatti bagagli per questioni di classifica avulsa. Fortunatamente il pari croato non arriva e ci qualifichiamo ai quarti.
Adesso incontreremo la prima classificata di un gruppo D ancora tutto da giocare: oggi sarebbe la Francia, ma anche Inghliterra e Ucraina possono ancora vincere il girone. Vedremo stasera, ma una cosa è certa. La qualificazione ai quarti, ottenuta, deve considerarsi l’obbiettivo minimo. E’ stato raggiunto (forse con più fatica del dovuto) ed è una soddisfazione, guastata solo dall’infortunio di Chiellini. Se però ora la Nazionale di Prandelli vuole farci conservare un buon ricordo di questi Europei, deve fare di più: che sia Francia, Inghilterra o Ucraina ci vorrà ben altra Italia. Ma penso che questo sia nelle possibilità e nelle qualità della nostra squadra, quindi io aspetterei domenica sera con fiducia. (Giacomo Galazzo)
Niente da fare, anche stavolta la Croazia non ci dice proprio bene. Alberto ieri aveva ricordato su queste pagine due notevoli sgambetti patiti in passato contro i croati: le disfatta nelle qualificazioni per Euro ’96 e soprattutto quella in Giappone nel 2002, che rischiò di estromettere gli Azzurri dal Mondiale. Ieri è arrivato il terzo, e anche questo rischia di non essere affatto indolore.
Eppure gli Azzurri, confermati nella formazione anti-Spagna e quindi con Balotelli-Cassano davanti, avevano giocato un ottimo primo tempo. La squadra era corta, faceva la partita, si rendeva pericolosa (penso in particolare alle occasioni per Balotelli e Marchisio). E passava meritatamente in vantaggio con una super punizione di Andrea Pirlo. I problemi iniziavano nella ripresa, quando ci si accorgeva da subito che il ritmo non è quello della prima parte. La Croazia ne aveva di più, e pur senza creare grosse occasioni, imponeva il ritmo alla gara, senza che gli Azzurri riuscissero più a impensierire la loro retroguardia. Quando è così, è come giocare su un filo, che può spezzarsi al primo errore: e così puntualmente è avvenuto. Su un cross potenzialmente innocuo Chiellini perde Mandzukic che controlla bene e batte Buffon. L’Italia non aveva più la forza per reagire, e nemmeno l’ingresso di Giovinco dopo quello di Di Natale (per Balotelli, io avrei tolto Cassano che dopo un buon primo tempo mostrava comprensibilmente la corda) riusciva a rivitalizzarla. Anzi, si ha l’impressione che se la partita fosse durata dieci minuti in più si sarebbe rischiato seriamente di perderla. Il risultato finale è un amaro e pericolosissimo 1-1.
La situazione è la seguente: bisogna necessariamente battere l’Irlanda. Se questo avviene e Spagna-Croazia non finisce pari, andiamo avanti. Se invece finisce pari, sono guai: uno 0-0 ci va bene, con l’1-1 dobbiamo vincere con tre gol di scarto o con due ma segnandone 3, dal 2-2 in su si fanno le valige in tutti i casi. La stessa, identica, malaugurata situazione di Euro 2004. Confidando nell’onestà dei nostri avversari, si poteva evitare di finirci. Prepariamoci a un lunedì sera di scongiuri e dita incrociate. (Giacomo Galazzo)